Ho letto e sentito tante parole, in queste ore dopo il pugno in faccia preso a Rimini. Una sacco di parole gettate al vento solo per far rumore e con il non mascherato tentativo di uscire da questa crisi dando le colpe agli altri, o al caso, o alla sfortuna.

Subito mi è uscita fuori questa espressione dialettale: ma di che steme a parla’?

Il dialetto, si sa, è la lingua del cuore, è la parlata usata tra persone che si conoscono e si frequentano. Ma i dialetti sono lingue soprattutto perché, così come tutte le altre lingue, sono in grado di esprimere qualsiasi cosa. Molti pensano che con il dialetto si possa parlare solo delle cose più comuni come fare la spesa, commentare le partite di calcio, scherzare con gli amici. Ma questo non è vero: esiste infatti una tradizione di uso del dialetto anche in attività considerate ‘elevate’, come per esempio in letteratura. Mi vengono in mente gli scritti di Giambattista Basile, di Carlo Goldoni, di Pier Paolo Pasolini, di Eduardo De Filippo, Modesto della Porta, Cesare De Titta, Ernesto Giammarco...

Insomma, il dialetto ha una tradizione letteraria e artistica che dura fino ai nostri giorni.

Ci sono situazioni in cui parlare la stessa lingua non aiuta a superare gli scontri e i conflitti.

Questo è il punto dove abbiamo bisogno di più di una capacità linguistica per raggiungere la mente e il cuore dei nostri simili. Questo è il punto dove entra Mawlana Jalal al-Din Rumi quando dice: "È meglio parlare la stessa lingua del cuore che parlare la stessa lingua". I pensieri significativi, espressi attraverso la lingua, hanno senso quando raggiungono non solo le menti ma anche i cuori dei nostri interlocutori. Essi hanno un effetto sulle nostre anime e sulle loro menti quando vengono comunicate attraverso la lingua del cuore.

Questa lingua, il dialetto, la uso solo per il titolo, anche per la difficoltà che avrei nello scrivere le parole dialettali che mi sgorgano dal cuore nel ribadire il mio sconcerto per ciò che sta accadendo nel calcio pescarese.

Giovanni Bucaro si è dimesso da allenatore del Pescara.

La pesantissima sconfitta patita contro il Rimini ha convinto l'allenatore a rassegnare le dimissioni che sono irrevocabili.

Bucaro aveva sostituito Zeman e la sua partenza è stata buona con la vittoria contro la Lucchese (1-0 il 24 febbraio). Poi però sono arrivate le sconfitte e i tanti gol incassati.

Il Pescara è andato ko contro Torres, Recanatese e Rimini, in mezzo il pareggio interno con la Carrarese. Sotto la sua gestione, il Pescara ha conquistato 4 punti in 5 partite, segnato 7 gol a fronte di 14 subiti. Un trend negativo che ha convinto lo stesso Bucaro a rassegnare le dimissioni.

Tra i primi nomi accostati alla panchina del Delfino c'è Delio Rossi, già avvistato all'Adriatico. Un altro nome è quello di Andrea Camplone.

Ma, onestamente, appare molto difficile che un allenatore di un certo rilievo accetti una situazione così delicata. Anche se, a dire il vero, i play off non sono compromessi totalmente e si potrebbe sperare in un allenatore che voglia mettersi in discussione proprio con i play off.

Ma la domanda è sempre più che lecita: Di che steme a parla’?

Oggi anche un grande allenatore avrebbe i suoi grossi problemi con una squadra costruita con i piedi senza tener conto della necessità di dare i giusti equilibri tra i reparti; dove non tutti i ruoli sono stati adeguatamente coperti; dove esistono doppioni in un ruolo e nessun giocatore in altri con la necessità, quindi, di adattare un atleta in un gioco non suo.

Solo Zeman è riuscito a fare punti e a far giocare questa squadra fatta con i piedi da un lucratore che ora è messo nudo dinanzi alle sue responsabilità.

Ma lo stesso Zeman ha dovuto fare i conti con la povertà tecnica di una rosa fatta dal duo Sebastiani Delli Carri (il gatto e la volpe, di Collodiana memoria) e se non ci fosse stato lo stop per motivi di salute, stava per essere messo in discussione da chi voleva far ricadere sulla sua gestione tecnica il fallimento di una incauta, superficiale, mercantile gestione dei mercati estivo e invernale.

Ore brutte per il Pescara e per i tifosi che, pur con le figuracce degli ultimi mesi, hanno continuato a sostenere la squadra e a garantire sempre una presenza generosa nelle trasferte.

Ora tutti a scaricare le proprie responsabilità sugli altri.

Di certo i due massimi esponenti sono Sebastiani e Delli Carri, ma come sottacere il colpevole avallo di una stampa asservita e zittita pronta sempre a parlarci dei colpi di mercato, quasi che il Ferguson collinare stesse facendo una squadra dei miracoli.

Come sottacere una politica della informazione portata avanti da dilettanti allo sbaraglio sia dall’interno della società e sia dall’esterno con le “amicizie collaudate”, anche in altri settori, degli Editori con il mercante biancazzurro?

La classifica è sotto gli occhi di tutti e dice che in 32 partite il Pescara è riuscito a perdere 32 punti con il Cesena che deve ancora giocare un turno nel momento in cui scrivo.

23 punti dalla Torres, anch’essa con un turno da giocare. E, cosa che assembrava assurda un paio di settimane fa, è a solo 4 punti da chi è fuori dai playoff visto che l’ultima è proprio il Rimini (decima posizione) e 41 punti.

Ma di che steme a parla?

Qua, se il mercante non si dà una mossa seria, il Pescara corre davvero il rischio di affondare. E, anche se è pur vero che trattasi di una SpA, a questo punto e in queste condizioni, il Sindaco Masci dovrebbe farsi sentire come, a suo tempo, si fecero sentire, e in maniera forte, Casalini, Piscione...

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