Il calendario ci propone due partite molto interessanti, quelle che venivano definite partite verità perché capaci, con il risultato, di farci capire i reali valori di una squadra.
Analizzando il Pescara di Zeman, le sue vittorie apparse, a volte, più fortunose che il risultato chiaro di una espressione di gioco collettivo, si ha l’impressione che la gioventù del complesso porti i ragazzi a soffrire quella che si chiama la Nike fobia, cioè la paura di vincere.
La Nike fobia è un fenomeno per cui un atleta, seppur dotato di grandi potenzialità, non raggiunge mai livelli elevati di prestazione sportiva a causa di propri comportamenti specifici che assumono le sembianze di un vero e proprio "auto-sabotaggio".
Il caso di Cuppone, di Merola?
Esistono alcuni indicatori che evidenziano i comportamenti di un atleta che ha paura di vincere, ad esempio: rendere di più in allenamento che in gara, mancare regolarmente gli appuntamenti sportivi più importanti, fallire ad un passo dal successo ormai sicuro e/o essere l’eterno secondo.
A volte a frenare i giovani calciatori c’è spesso la convinzione che il successo richieda delle abilità che si ritiene di non possedere. Se un atleta è considerato forte e talentuoso, ma lui non si percepisce tale, può scattare la paura di non essere all’altezza delle aspettative delle figure di riferimento (compagni, allenatore, familiari) o del pubblico, innescando il meccanismo di rinvio dell’attesa vittoria e procrastinando all’infinito l’espressione del proprio valore.
In altri casi l’atleta può temere che conseguire importanti vittorie lo sottoponga a una nuova e inaccettabile responsabilità come quella di dover mantenere il livello che si conseguirebbe qualora si vincesse una certa competizione.
La paura di non riuscire a mantenere uno standard di prestazioni alto, la paura di deludere le nuove aspettative che si creerebbero, il timore di affrontare avversari sempre più forti, sono tutti fattori che possono portare al blocco delle prestazioni agonistiche.
In altri casi ancora, la Nike fobia può colpire l'atleta a seguito di un suo successo inaspettato e repentino, che lo "strappa" dalle proprie abitudini, dal proprio ambiente, dal proprio ruolo nel mondo, e da tutto ciò che per lui prima era rassicurante, familiare e prevedibile: in questa situazione l'atleta può attuare comportamenti tali da permettergli di tornare alla situazione precedente, rifiutando i benefici della vittoria.
In tutti questi casi è importante che l’atleta abbia il coraggio di chiedersi quali siano le paure e i timori profondi del suo significato di vittoria.
Per questi motivi continuo a credere che la presenza di un mental coach in una squadra di giovani sia più che necessario, vitale.
Il mental coach assume un rilievo determinante nella gestione della partita interiore dell'atleta, preparando quest'ultimo in anticipo a tutte le situazioni difficili o negative che si verificheranno nel corso della prestazione.
Non esiste nelle Pescara calcio una figura come il mental coach calcio, che insegni ai giocatori come sfruttare tutto il potenziale della loro mente a beneficio delle prestazioni individuali e di squadra.
Molto spesso gli stessi allenatori non amano avere “gente in casa” e credono, nella maggior parte a torto, di essere in grado di gestire anche la parte mentale dei loro giocatori
La realtà è che di sovente i giocatori ingioiano e buttano giù senza riuscire a dare quanto effettivamente potrebbero.
Proprio perché il Pescara ha giocatori giovani e di talento (anche se il nostro dramma è che i buoni giovani sono in prestito), credo che questa figura possa essere considerata necessaria, Zeman permettendo!