In pieno accordo con Mastini affermo che quando c’era solo il pallone, il padrone del calcio era lui. E lui, con le sue cuciture, le facce esagonali e il suo aspetto, prima marrone cuoio poi bianco a
scacchi a neri, era il fulcro centrale di tutto il sistema. Non vi era altro all’in-
terno del rettangolo verde che contasse di più di quella sfera. Non i calciatori,
visti inizialmente solo e soltanto come interpreti, non assoluti, di quello che
era già un gioco prima ancora di uno sport; non gli allenatori, insigniti della
palma del controllo per quella manciata di minuti o evenienza temporale; non
il pubblico, pagante o no che fosse, intento a dimenarsi sugli spalti.
In Italia, il primo trasferimento di calciatori tra club avvenne nel 1913 tra
Genoa e Andrea Doria e fu subito uno scandalo. Enrico Sardi e Aristodemo
Santamaria furono ingaggiati dall’imprenditore Geo Davidson. L’accordo sul
trasferimento non prevedeva nulla di scritto e quando il fatto venne scoperto
entrambi i calciatori furono squalificati per un anno dalla Federazione Italia-
na Giuoco Calcio (FIGC).
Il 4 marzo 1981 fu una data molto importante per tutto il calcio mondiale;
venne approvata la Legge 91, strumento giuridico che regolava il rapporto
di lavoro di stampo professionistico in campo sportivo. La novità principale
era relativa alla potestà sul cartellino di un calciatore, non più appartenente
al club, quanto al giocatore stesso3.
Il grande cambiamento iniziato con la Legge 91, in linea con
l’adozione dei nuovi regolamenti FIFA in materia di trasferimento dei calciatori4, si
completò nella sentenza della Comunità Europea riguardo il famoso caso “Bo-
sman”5. Jean Marc Bosman, centrocampista belga classe 1964 in forza allo
Royal Liegi ma fuori rosa, fece causa alla propria società presso l’UEFA e la
federazione belga. La Corte di Giustizia europea accolse il ricorso sulle due
questioni sollevate dai legali di Bosman: in prima istanza, il diritto di un club
di pretendere da un’altra società un indennizzo per un calciatore a scadenza
di contratto e, successivamente, la facoltà delle federazioni di includere nei
regolamenti norme restrittive sulla partecipazione dei singoli calciatori stranieri
alle competizioni sportive.
Nel settembre del 2009, il Comitato Esecutivo dell’UEFA approvò con
voto unanime il Fair Play Finanziario, un piano strutturale per regolare il
mondo del calcio sotto il profilo economico e finanziario.
Il mercato dei trasferimenti ha conosciuto un progressivo aumento nel corso degli anni.
Il flusso totale è dato dalla commistione di tre tipi di trasferimenti: quello oneroso,
ovvero comprendente il pagamento del cosiddetto “cartellino” del calciatore
alla squadra di appartenenza; il “prestito”, qualora si parlasse di un ingaggio
che non prevede il passaggio del “cartellino” del soggetto in questione da un
club all’altro; oppure il “Free Transfer”, ovvero l’acquisto a “parametro zero”,
evento che si verifica dal momento in cui il calciatore, può accasarsi liberamente.
L’aumento a dismisura del gettito di capitali, nonché la sua scarsa prevenzione, a fine millennio aveva messo in evidenza le gravi contraddizioni di uno sport in procinto di non dirsi più tale, quanto più vettore di interessi
eterogenei: dal potere finanziario dei comparti societari a quello puramente personale dei calciatori, il tutto passando per il mondo dei media, in grado cioè di dettare la linea in termini di definizione delle classi dirigenti sportive.
A conclusione di questa mia riflessione sul mercato calcistico devo riconoscere che il mondo del calcio non è più uno spettacolo di sport e di crescita dei valori tecnici, ma un “barnum” in cui mestieranti, esperti di tecniche commerciali, riescono ad investire le loro energie nel movimentare quanti più giocatori possibili nel corso della stagione e guadagnare in vari modi sui contratti.
Tutti sanno e nessuno ne parla che molti giocatori firmano per delle cifre e ne riscuotono solo una parte. Che ci sono mediatori che si sono arricchiti sui contratti. Che alcuni presidenti, fregandosene delle esigenze dei tifosi, muovono somme enormi, che diventano i loro tesoretti, e solo una piccola parte viene investita per il bene della società.
Insomma, questi mercanti, tutto fanno fuorché pensare prima al campionato e poi al mercato.
Al campionato ci pensano, soffrendo, solo i tifosi. I mercanti, invece, pensano solo al mercato.
In questo modo, il calcio sopravvivrà come crescita tecnica o sarà solo uno spettacolo coreografico e un mezzo per arricchire dei presidenti che sfruttano la passione dei tifosi?