Il calcio non è solo passione, ma è business. Esso è uno dei settori economici più importanti nel nostro paese, ma non per questo si può cancellare il trasporto genuino che anima gli appassionati. Il calcio è sinonimo di socializzazione, aggregazione e competitività.
Il calcio moderno sia in Italia che nel resto d'Europa costituisce un giocattolo prezioso a svariati miliardi di euro.
Il calcio è diventato uno dei più grandi business mondiali, una gigantesca macchina da soldi che ogni anno produce un giro d'affari superiore al Pil di moltissimi stati. Il fatto che il nostro paese sia una nazione "pallonara" che vive di calcio dodici mesi l'anno non è una novità. Le grandi del calcio europeo, fatturano svariati milioni d'euro attuando strategie societarie che vanno ben oltre lo sport, riversando enormi sforzi finanziari in attività di marketing, comunicazione e attività di promozione del marchio.
Il calcio, dunque, rappresenta la nostra società e ne è riflesso perché come i politici si fanno pagare per concedere privilegi, così molte volte gli arbitri si fanno corrompere per favorire una o l’altra squadra. Esiste poi il fenomeno degli ultras e degli insulti a sfondo razzista che avvengono nelle tribune degli stadi.
È mai possibile che si vada a vedere una partita di calcio e, dopo essere stati seduti su una panchina tutto il tempo, si arrivi a esagerazioni simili, mentre i giocatori che hanno faticato mantengono tra loro, almeno in apparenza, una sorta di fair play?
Ma siamo propri sicuri che il calcio rappresenti lo specchio fedele della società?
Il calcio come chiave di lettura del mondo reale, le passioni sportive utilizzate come metro per valutare gli umori radicati nel corpo sociale, funzionano solo se ci accontentiamo di spiegazioni tanto suggestive, specie se presentate da qualche penna giornalisticamente sublime, quanto semplicistiche e persino distorcenti. Come quando si usano le tifoserie ultras come materiale antropologico per spiegare la violenza sociale o quella politica: ci sono corrispondenze simboliche, persino sovrapposizioni di persone, ma un capo tifoseria nelle vesti di combattente è sempre un’altra cosa da chi ha scelto la lotta armata o l’assalto contro lo Stato.
Il problema è che siamo vittime di una suggestione intellettuale che andrebbe al più presto superata.
La passione calcistica è stata sublimata dalla letteratura e connotata in senso epico, ma sempre un gioco rimane: la vita di una comunità organizzata è un’altra cosa, ben più complessa.
Si dimentica talvolta – e anche questo dovrebbe far riflettere – che il nesso tra potere politico e successo sportivo, tra benessere sociale e trionfi ludici, è tipico in realtà dei regimi totalitari, nei quali ciò che si perde in libertà e autonomia viene malamente compensato con l’ebbrezza collettiva da vittoria.
Nelle dittature ci si affida allo sport per trasmettere al mondo un’idea di sé benevola, per fare dimenticare l’oppressione e per distrarre il popolo.
Ma la qualità di una democrazia non può essere misurata dalla capacità della sua squadra di calcio di vincere i campionati.
In una Pescara ricca di problemi irrisolti, con una Giunta che sa di poco sale e che avrà sicuramente vita breve, anche la macchina sportiva lo sarà.
Ma il senso civico di una collettività non dipende dalle modalità del suo tifo o dal senso di attaccamento ai colori della squadra. Il calcio, per carità, è una cosa seria, ma forse ne abbiamo esagerato l’importanza.
E’ vero che il Ferguson collinare ci ha penalizzato con una gestione personale a dir poco criticabile, ci ha relegato in Serie C, dopo aver incassato milioni di euro, ed è anche vero che sarebbe necessario un cambio al vertice totale, come dire usare la spugna e ripartire di nuovo e con il nuovo.
Ma è anche vero che questa società pescarese si è adagiata nella sua mediocrità, ha permesso supinamente che il mercante facesse tutti i suoi affari indisturbato e, anzi, il sindaco Masci, personalmente, lo ha sostenuto in certe idee relative alla costruzione di un nuovo Stadio.
Tra pochi giorni riprenderanno le partite e il popolo dimenticherà ogni cosa della sua difficolta di vivere, soggiogato dal risultato della sua squadra.
Mi chiedo: Che te ne fai di una vittoria al pallone, a parte l’ebbrezza del momento e i caroselli per le strade, se la corruzione dilaga, se i tuoi giovani sono senza lavoro o se non riesci a realizzare nessun dignitoso progetto e se vivi in una città caotica con traffico paralizzante, senza aree di
parcheggio, con decine di cantieri aperti che non trovano fine, con decine di negozi messi in condizione di non poter svolgere la propria attività in modo decente?
Vogliamo pensare finalmente alle cose serie?