Il 24 scorso ero con mio figlio Vincenzo a festeggiare i suoi 26 anni quando un signore, che era nei pressi del nostro tavolo, mi saluta e mi chiede se lo riconosco.
Sorrido e gli dico che il suo volto non mi è nuovo ma faccio fatica ad abbinare al suo viso un nome ed un cognome anche perché, per il mio lavoro, incontro quotidianamente decine di persone.
Poi prende il suo telefonino e mi fa vedere una foto che lui ha conservato in cui siamo insieme mentre lo intervisto... Un foto del 1991, come dire 32 anni.
Subito mi scattano nella mente una serie di ricordi: un ragazzo di Montesilvano, cresciuto pugilisticamente nella palestra di Di Giacomo. Un peso mosca molto talentuoso diventato nel 1991 a Bari campione italiano e poi confermatosi a Sanremo nel 1992 come campione dilettanti di prima categoria.
Ricordo che aveva combattuto per una cinquantina di match da dilettante con una ottima percentuale di vittorie considerando che tra i dilettanti quando combatti fuori casa o stravinci o il match non te lo assegnano.
Gianluca Ciarlariello, è lui il signore che mi parla, ha mantenuto negli anni un fisico atletico anche se oggi sarebbe più un super-welter che non un mosca-gallo.
L’emozione ci coinvolge e lui ha belle parole per me che rivolge a mio figlio Vincenzo che appare sorpreso ma che, si nota, prova piacere a sentir parlare in termini positivi del padre.
Ciarlariello, dopo la carriera da dilettante, ha combattuto una decina di volte, mi pare di ricordare, come professionista con ottimi risultati.
Mentre parla con mio figlio rifletto che Il pugile, a prescindere dal proprio genere d’appartenenza, è forse l’atleta il cui il profilo comportamentale è maggiormente separato da quello psicologico e la cui particolare attività sportiva può essere meglio spiegata sul piano delle motivazioni psicologiche e sociali.
Nei giovani appartenenti a contesti sociali più svantaggiati, esiste un vivo desiderio di migliorare la propria situazione e la insoddisfazione per la posizione economica e sociale che hanno. Il pugilato rappresenta un momento capace di risolvere, in taluni individui, questa insoddisfazione
Il pugilato però non è lo scontro inconsulto di due contendenti, come in una zuffa o in una rissa, né tantomeno un’avventura in cui si possa prescindere dall’impegno, dal duro lavoro, dalla serietà e dalla costanza.
Chi arriva sul ring è un individuo selezionato dalle dure leggi della palestra, una personalità sportivamente aggressiva.
Il pugile non è ciò che sembra: la violenza, più o meno irrazionale, non gli appartiene in modo naturale, ma è solo una sovrastruttura. Di solito è una persona socievole, non tende ad isolarsi, sceglie come amico un pugile appartenente a una diversa categoria di peso, dimostra per la palestra un sentimento di aspettativa-venerazione, quasi si trattasse di una seconda casa.
Piano piano si srotola nella mente, come un vecchio film, una serie di immagini e di parole e mi tornano chiare alcune frasi della vecchia intervista.
Come hai cominciato a far boxe: come mai hai iniziato? Avevi un sogno?
Devo dire che gli sport da combattimento mi sono sempre piaciuti fin da quando ero piccolo e ho sviluppato la passione presso la palestra di Di Giacomo che mi aveva preso subito a benvolere...
Col tempo hai sviluppato un sogno, un’ambizione?
All’inizio questa cosa della boxe la prendevo per scherzo: ero giovane, mi riusciva bene, facevo delle belle vittorie, un passo dopo l’altro sono entrato nella nazionale italiana… Ma non la vedevo come un lavoro: l’obiettivo era divertirmi. Mi dicevo “Mi piace la boxe, ora mi diverto con questa; poi quando sarò grande troverò la mia strada.” Ora sono diventato grande e ho una mia attività di imprenditore nel settore oleario qui a Montesilvano.
Secondo te quali sono le caratteristiche più importanti per un pugile?
A livello fisico ci vuole forza, velocità e resistenza… ma quello che conta è il carattere, la volontà di mettersi alla prova. Nella boxe bisogna essere disposti a sfidare se stessi, a impegnarsi tutti i giorni in palestra, arrivare al proprio limite e superarlo. La boxe è per chi ha il coraggio di mettersi alla prova in modo ordinato e regolato. La palestra per me è stata una scuola di vita: impari i sacrifici, il rispetto, l’amicizia, tutto quanto… può essere una bella terapia per tanti giovani!
Dal punto di vista mentale quale era il tuo punto di forza?
Io non avevo paura di nulla: se un avversario era forte in certe qualità, per me era uno stimolo a prepararmi meglio, per annientare il suo vantaggio.
Secondo te al di là dei risultati agonistici, cosa insegna la boxe?
Insegna tanto. Prima di tutto il rispetto. Magari uno va a fare boxe con l’idea di fare lo sbruffone e invece vede che il pugile più esperto è il primo a aiutare l’ultimo arrivato. Poi bisogna dire che questo è sì uno sport individuale, solitario, ma in palestra siamo una squadra, una famiglia, c’è tanto sforzo insieme, tanto supporto reciproco. La boxe è davvero una scuola, una cosa che rieduca, ti fa capire come funziona la vita: magari non si diventa tutti campioni, ma qui chi lavora e riga dritto sicuramente otterrà i suoi risultati e si prenderà le sue soddisfazioni.
E oggi?
Oggi ho una industria di fiscoli oleari in Oli Alimentari e Frantoi Montesilvano e la boxe è solo un bel momento della mia gioventù.
Un abbraccio conclude il nostro incontro dopo circa trent’anni.