È domenica. Sono solo con la mia cucciolotta di quattro mesi Maggy che mi fa una compagnia totale e affettuosa. Se vuoi sentirti amato davvero, adotta un cane, nulla di più vero. Devo ancora somatizzare la sconfitta in casa del Pescara con il Pordenone. Ho voglia di amicizia e di affetto e chiamo il mio ultimo figlio della numerosa nidiata, Vincenzo, che ha circa ventiquattro anni. e lo invito a pranzo.
Accetta e penso a cosa fargli gustare. Sono, modestamente, un cuoco bravo ma ho voglio di qualcosa di speciale da offrirmi e da offrire a Vincenzo.
Telefono a Gianfranco e a sua moglie Barbara. Due ragazzi conosciuti anni fa quando, di ritorno da Pescara con Vincenzo, allora abitavo in una villa a Collecorvino, mi fermavo al loro bar in via Vestina e mi preparavano dei piatti semplici e gustosi. Dissi loro che erano bravo e che avrebbero potuto sfondare con una trattoria con piatti semplici a base di pesce. Fui buon profeta. Hanno aperto una osteria, Aquarius, in viale Bovio a Pescara e hanno sfondato.
Ho chiesto se potevo ordinare per due e se potevo avere i piatti a casa, considerando la chiusura causa emergenza corona virus.
Nessun problema. Nel giro di un’ora lo stesso Gianfranco mi porta un menu fatto di: antipasti, pizza fritta. insalata di mare, seppie e patate cucinate con la pignata di terracotta, baccalà in pastella con il ciabotto, maltagliate fatte a mano con sugo di scampi, gran fritto di paranza. Qualità e prezzo di sicura convenienza.
Innaffio il tutto con del vino bianco Pecorino.
Il “Pecorino” è un vino bianco la cui paternità è contesa tra i territori delle Marche e dell’Abruzzo. Il vino Pecorino è prodotto dall’omonimo vitigno, di recente riscoperta da parte di molte aziende vinicole (la sua nuova ascesa parte intorno agli anni ’80 del Novecento).
Esistono molte ipotesi sull’origine del nome e sul suo significato. Il nome “Pecorino” sembrerebbe essere stato assegnato a questo vino in virtù dell’abbinamento col più celebre formaggio “Pecorino”. Nello specifico tale ipotesi si fonda su alcune somiglianze tra il formaggio e il vino ottenuto da uve “Pecorino”.
Il nome Pecorino è stato assegnato a questo vitigno poiché la partenza per la transumanza (la migrazione stagionale delle greggi coi loro pastori, ricordata da D’Annunzio nella poesia “I Pastori”) coincideva con il periodo di maturazione di questa uva e le pecore guidate dai pastori erano attratte dai dolci grappoli.
Mangiamo e parliamo e Vincenzo mi fa partecipe dei suo progetti universitari e di lavoro e mi parla della sua compagna. Tutto si consuma in allegria e il conversare è dolce e istruttivo per tutti e due: l’esperienza mia di un ottantenne navigato e la sua vitalità di giovane uomo che vuole conquistarsi un posto nel mondo lavorativo.
Al termine, gli offro un bicchierino di “gialletto maledetto”, come io scherzosamente l’ho definito tanti anni fa e che non è altro che la tintura imperiale.
Ci sediamo in poltrona e continuiamo i nostri discorsi di vita familiare e degustiamo il “gialletto” che Gabriele D’Annunzio, cultore di simili bevande, così la descriveva: “Essenza tra il mistrà e l’assenzio con altri succhi medicinali, squisitissima… poche gocce bastano a trasformare un bicchiere d’acqua in una specie di opale paradisiaca “.
La tintura imperiale (o Gocce Imperiali) è un distillato d’erbe medicinali ed aromatiche prodotto dai monaci cistercensi in più zone d’Italia.
L’inventore, molto probabilmente, fu un monaco di Casamari di nome Eutimio Zanuccoli che la mise a punto nel 1766. All’interno della badia solo un monaco ne conosce la ricetta che poi viene tramandata al fratello più giovane che prenderà il suo posto.
La Tintura Imperiale è un prodotto di nicchia, poco conosciuto ed uno dei più alcolici tra quelli prodotti dai monaci, dichiara novanta gradi. Si presenta con un bel colore giallo e devi saperlo bere se non vuoi restare a bocca spalancata a cercare refrigerio nell’ossigeno che diventa prezioso oltre ogni dire.
Ricordo alcune esperienze con colleghi inglesi che erano venuti a farmi visita a Pescara che, dopo aver assaggiato la tintura, ne erano rimasti così invaghiti tanto da chiedermene un po’ da portare a Londra per sorprendere i loro amici che si professavano gran bevitori...
Dopo pranzo Vincenzo mi lascia dopo che facciamo un ultimo brindisi “alla faccia di chi ci vuole male dentro e fuori Castellamare...” e alla salute di Gianfranco e Barbara che ci hanno preparato un menu fantastico.
Una bella domenica. Un pranzo gustoso. Un rinverdire dei rapporti tra me e mio figlio. Niente altro mi serve per essere felice.