L’ELEFANTE PORTA SFIGA? La domanda sorge spontanea dopo che in questi ultimi anni abbiamo riscontrato a Pescara: la caduta in verticale della squadra di calcio dalla Serie A alla Serie C.
Un caduta in complesso della vivibilità di Pescara: molti cantieri aperti in città e difficoltà nel chiuderli, per cui molti commercianti, nelle zone centrali, bestemmiano in turco per i disagi propri e dei clienti con concrete perdite di affari.
Nel frattempo abbiamo visto cancellate realtà sportive come la pallavolo maschile e femminile. Il basket maschile e femminile. La pallanuoto che ha vissuto fasti europei ed ora campicchia.
I pescaresi si ritrovano a vivere in una città caotica, con disservizi di vario genere che riguardano la viabilità, i parcheggi, la mancanza di un vero parco cittadino, la ricostruzione di un teatro promesso dopo l’abbattimento del Pomponi e mai rifatto... tutti disagi che l’ufficio stampa del sindaco non riesce a far dimenticare pur con tutti i comunicati positivi lanciati attraverso i giornali locali.
Molti si danno appuntamento, specie i ragazzi, all’elefante che è un punto d’incontro, e pochi sanno come quel pezzo di cemento si trovi in quella posizione.
Anni addietro il noto artista pescarese Vicentino Michetti ebbe una commessa per due elefanti che avrebbero dovuto segnare l’ingresso della villa faraonica di un emiro arabo.
Ad opera finita, quando l’incaricato arabo giunse a Pescara per saldare il conto e ritirare le due opere, si rifiutò di farò e annullò il contratto per negligenza dell’artista che aveva realizzato i due elefanti con la proboscide abbassata che, per il committente, significa sventura, sfortuna, sfiga.
Annullato il contratto Vicentino Michetti trovò comodo disfarsi di uno dei due manufatti sistemandolo in Piazza Salotto Sud dove da anni si trova.
L’altro è rimasto in un capannone nei pressi di Chieti scalo.
A questo punto mi chiedo, anche se, personalmente, non sono scaramantico, se davvero l’elefante porti sfiga alla città.
Perché la scaramanzia e i vari rituali anti sfiga hanno fortuna?
Perché si pensa di poter condizionare in qualche modo il nostro futuro. Lo sanno bene gli sportivi, che li usano per un fine pratico, cioè distogliere l’attenzione dall’obiettivo.
Senza contare che tendiamo a notare di più e a concentrarci sulle cose che vanno storte.
Ma non dobbiamo pensare al caso solo in termini negativi: «Il caso ha avuto un ruolo fondamentale nel rimescolamento dei geni, ossia nelle mutazioni che muovono l’evoluzione delle specie. Al punto che possiamo dire che anche noi umani siamo qui per caso».
Senza contare che non dobbiamo giudicare gli eventi troppo in fretta. Una cosa che sembra andare storta, infatti, nel tempo può rivelarsi un colpo di fortuna. !
Gli esperti dicono che possiamo fare molto, per noi stessi, lavorando sugli atteggiamenti, tenendo gli occhi aperti, pronti a cogliere le occasioni e a vederle in modo positivo, come un bicchiere mezzo pieno, non vuoto: in questo modo le cose andranno davvero meglio e cominceremo a sentirci più fortunati.
Nel mondo, numeri e giorni sfortunati cambiano. Le ragioni sono legate alle tradizioni, alla cultura e alla religione. Il 17, per esempio, per noi italiani è un giorno nero: l'Antico testamento, infatti racconta che il diluvio universale cominciò il giorno 17. Per i Paesi anglosassoni, invece, è il 13 che porta sfortuna (forse perché i partecipanti all'Ultima cena di Gesù erano proprio 13). In Cina, infine, il numero nero è il 4 perché, in cinese, suona come la parola "morte".
Le origini di scaramanzie, superstizioni e di molti gesti porta(s)fortuna risalgono indietro nel tempo. Ecco perché, per ogni credenza, vi sono più teorie che cercano di spiegarne le origini. Per esempio, incrociare le dita si legherebbe alla tradizione dei primi cristiani che, in questo modo, riproducevano la croce contro il diavolo. Per altri, invece, il demonio poteva catturare l'anima entrando nel corpo attraverso le dita e lo si fermava incrociando indice e medio e chiedendo così la protezione divina.
E rovesciare il sale perché porterebbe sfortuna?
Un tempo il sale era preziosissimo e parte di rituali. Ecco perché, invece per alcuni versarlo attorno a sé terrebbe alla larga la sfortuna.
Il popolare detto, non è vero ma ci credo, racchiude una saggezza che ci spinge a riflettere sul potere della fede e delle credenze. Esso ci ricorda che, a volte, il significato e la verità risiedono nel cuore di chi assiste, non tanto nella realtà oggettiva.
In Europa e in America la superstizione è molto più diffusa di quanto si creda, ed è un fenomeno che sembra in aumento, insieme alla credenza negli spiriti, nelle streghe e nelle case infestate da presenze oscure.
Ma quali sono i meccanismi psicologici dietro il nostro pensiero magico, ed è un ostacolo o ci aiuta?
Il meccanismo mentale alla base della superstizione sembra essere molto economico: cerca di trovare semplici esiti causa-effetto per dare un senso al mondo. Generalmente questo meccanismo di pensiero porta selettivamente a ricordare le volte che la superstizione ha funzionato e a dimenticare le volte che il legame tra pensiero superstizioso ed esito ha fallito, il che rafforza e conferma la veridicità del meccanismo stesso.
In fin dei conti, il motivo per cui le superstizioni hanno resistito imperturbate allo sviluppo della coscienza e della conoscenza ci dice una cosa certa: ci danno sicurezza. Ci permettono di sentire di avere un certo controllo su un mondo molto caotico, anche se le nostre azioni sono prive di significato: quando così poche cose al mondo sono prevedibili, sembra una comodità irresistibile.