Ho passato un paio d’ore a parlare di calcio con Ciro Venerato e con Fabio Rosica, detto Fabio Ros sui Social. Una vera goduria poter parlare di calcio con chi ne sa. Spesso mi tocca, anzi ci tocca, a noi giornalisti, dover parlare di calcio con i tifosi ed è una sofferenza perché, per educazione, si dà parità polemica a chi questa parità non la merita proprio, se non in rari casi.
Il tifoso può esprimere la sua opinione allo stadio, ma deve anche essere consapevole che di calcio capisce poco. Non parlo solo del tifoso del Pescara, ma dei tifosi in generale.
Il calcio è di tutti ma fino a un certo punto.
Tutti credono di poter parlare di calcio perché guardano (ma spesso non vedono) le partite.
Ho notato che molto spesso, specie nelle curve, i tifosi sono presi dalle loro “coreografie” e non seguono la partita che si svolge, spesso, alle loro spalle: ballano, cantano, gridano ma non seguono con attenzione le azioni sul campo. E poi parlano e pretendono di farlo con chi da anni, invece, segue il calcio, studia le sue componenti, e analizza con scienza e coscienza i vari fatti.
Ma tant’è, tutti sono maestri, allenatori, arbitri e parlano di calcio e guai a contraddirli: a quel punto sei un giornalista che non capisce un cazzo.
Bisogna chiarire un volta per tutte che il tifoso è uno spettatore, che in qualche modo è figlio dell’aziendalizzazione del calcio moderno: così come non è azionista del proprio club, il tifoso non ne è neanche allenatore.
Certo, il meccanismo di affezione-fruizione dei tifosi è alla base dei guadagni dell’intero movimento e il fatto che tutti parlino di calcio presuppone un interesse che garantisce il futuro del calcio stesso.
Chi ama parlare di calcio, va allo stadio, paga il biglietto e fa felici il cassiere della società e il suo presidente.
Sono arciconvinto che i tifosi restano sacri in quanto tifosi e perché garantiscono il futuro dello spettacolo calcistico. Sono dei sostenitori, non conoscitori di tattica di tecniche, di strategie finanziarie e di marketing.
Tutto questo è roba per professionisti. Il calcio non è democratico. Lo spettacolo calcistico, invece, lo è.
Se ognuno rispettasse il proprio ruolo non ci sarebbero quelle dimostrazioni di selvaggio comportamento che fa da corollario al teorema calcio. Se i tifosi facessero i tifosi e i giornalisti facessero cronaca, senza vendere la propria anima e la propria professionalità alla tifoseria organizzata, per il timore di venire contestati, tutto andrebbe meglio.
Invece il giornalista “cacasotto” non fa che parlare e scrivere della forza del tifoso, del fatto che è il dodicesimo uomo in campo, che con il suo entusiasmo fa vincere i campionati.
Non è vero nulla.
Il tifoso fa spettacolo. Spesso, da narcisista, segue l’evoluzione della sua presenza coreografica in curva e non segue i fatti calcistici.
Non ho mai visto il pallone spinto in rete dalle urla del tifoso. Sono convinto che, nella dinamica delle giocate il calciatore nemmeno sente cosa dicono i tifosi. Le urla dei tifosi contro gli avversari, a volte con parolacce molto scurrili, non riducono la forza tecnica di questi che, anzi, potrebbero trovare maggiore vigoria nello zittire le urla minacciose con giocate di valore.
Insomma, per dirla tutta e in breve, il tifoso pretende di essere considerato non solo un cliente pagante, ma la forza stessa di una società calcistica. Pretende l’assurdo.
Che vada a dirlo a Sebastiani.
Che riesca, il tifoso, con le sue urla, a fargli cambiare atteggiamento e filosofia di gestione. Che faccia aumentare i gol e i punti in classifica aumentando il volume del suo incitamento.
Certo, mi piacciono la coreografia e la capacità di fare spettacolo nello spettacolo della tifoseria che mi piace molto meno quando pretende di insegnare, a dei professionisti, come si scrive o si parli di calcio vero.