Amo il calcio. Da ragazzo seguivo tutti i giorni gli allenamenti del Pescara prima al Rampigna e poi all’Adriatico e, già da allora, mi piaceva tenere un quaderno su cui scrivo quotidianamente ciò che vedevo fare sul campo.
Poi ho giocato in porta, qualche anno con la Tiburtina dei fratelli Nait.
Poi ho fatto un corso da allenatore (1964) all’Aquila, con Silvio Piola!
Poi ho fondato una mia squadra, la Lussosport, con la quale ho vinto tutti i campionati ai quali ho partecipato grazie a dei ragazzi, che allenavo personalmente, stupendi.
Poi dal 1964 ho cominciato a fare di professione il giornalista sportivo.
In questi anni dal 1964 al 2023 ho intervistato e colloquiato con centinaia di allenatori, tecnici e calciatori, oltre ad essermi confrontato con una miriade di giornalisti alcuni dei quali autentici maestri ciò che ho imparato è che lo sport è maestro di vita che ti insegna a vivere, ma che il calcio troppo spesso disattende questa funzione!
Infatti, lo spettatore che rivendica di essere uno sportivo non può e non deve parteggiare per nessuna parte, pena la caduta della sua sbandierata sportività.
Il suo approccio sarà quello di un esteta che, in modo disincantato, potrà al massimo gridare: “Vinca il migliore!”. Da ciò si deduce che un vero sportivo non potrà mai essere un vero tifoso. Di conseguenza un vero tifoso non è uno sportivo
Faccio alcune riflessioni:
I calciatori sono dei professionisti che si offrono al miglior offerente. Quando baciano la maglia o fanno il segno del cuore con le mani esprimono spessissimo ipocrisia.
Il tifoso vive il calcio secondo un ampio ventaglio emotivo che va dall’amore sviscerato per una squadra e all’odio profondo per una e una certa simpatia per altre
Che piaccia o no, la sua è una posizione faziosa, partigiana, di parte e per tal motivo non potrà mai essere un vero sportivo.
Il tifoso gioisce per un rigore inesistente concesso alla propria squadra del cuore, così come gioisce per un rigore sacrosanto non concesso alla squadra avversaria. Dove sono i valori della sport!?…La risposta è semplice…non esistono! Non sono i valori dello sport che lui persegue, ma quelli del cuore! Essere tifosi significa essere “pro” ma fatalmente anche “contro”, significa tifare ma anche gufare e quindi non potrà mai considerarsi uno sportivo.
A questo punto una domanda sorge spontanea: è possibile coniugare la sportività col tifo? E’ possibile mantenere la lucida percezione di una mente fredda con il calore del cuore che batte?
Spesso sento dire: “Ringrazio Dio, o mio padre, di avermi fatto nascere tifoso di questa o di quest’altra squadra”.
Quindi la risposta è: non è possibile, o sei tifoso o sei sportivo.
La squadra che si ama rappresenta proprio l’enfasi di un amore immaginato ideale, perché non è un oggetto che puoi possedere e consumare fisicamente come una donna, un libro, una canzone e, se tenti di farlo, abbracci l’aria fatta solo di simboli e colori.
L’amore per un giocatore, nemmeno il più amato e rappresentativo, non potrà mai competere con l’amore per la squadra, perché lui passerà, mentre la squadra continua, esattamente come la vita.
Quindi considero stupendo saper amare una squadra e fare per essa dei sacrifici, ma non lo si contrabbandi per sportività.
Si abbia il coraggio di dire non sono uno sportivo ma sono solo un tifoso.