Scrivo poesie che solo io considero tali.
Scrivo romanzi che nessun editore mi pubblica e che solo pochi amici leggono.
Scrivo di sport e mi creo nemici tutti quelli che non la pensano come me.
Insomma, scrivo e non ne traggo vantaggi pratici.
Cosa mi spinge a scrivere?
Dico che lo scrivere è uno stimolo per la mente: riattiva la memoria, rimette in moto la creatività, permette di rielaborare le mie esperienze in una narrazione coerente, mi aiuta a dare un senso e una direzione alla mia vita.
Scrivere mi fa bene: oltre a essere un gesto di libertà espressiva e auto-riflessione, può anche servirmi come un’ancora di stabilità emotiva e fonte di supporto psicologico personale.
Che si tratti di un diario o un blog personale, scrivere, mettere nero su bianco i propri pensieri e le proprie emozioni, anche senza realizzare capolavori della letteratura, è un’ottima medicina: aiuta a liberarsi, a chiarirsi le idee, a esplorare i propri lati nascosti e a superare momenti di sofferenza e di depressione.
Molte ricerche hanno provato l’efficacia terapeutica della scrittura.
Secondo Matthew Lieberman, ricercatore alla University of California Los Angeles, ricorrere a carta e penna quando ci si trova in un momento di disagio riduce l’attività dell’amigdala (la centralina emotiva del nostro cervello, che si accende per esempio quando abbiamo paura o siamo arrabbiati) e aumenta quella delle regioni prefrontali, permettendoci di padroneggiare le nostre emozioni.
Dalla fine degli anni ‘80 lo psicologo James Pennebaker, ricercatore all’Università del Texas, si è fatto promotore della scrittura espressiva, un metodo che consiste nello scrivere di getto, esternando il flusso di pensieri così come arrivano. Questi i consigli che dà ai suoi pazienti: scrivere per 20 minuti al giorno per almeno 4 giorni consecutivi, solo di questioni personali e importanti, esplicitando i pensieri e i sentimenti più profondi, e in modo continuo, senza preoccuparsi della punteggiatura, delle ripetizioni, di errori ortografici o di cancellature.
Marta Erba, medico e psicoterapeuta del Santagostino, dice che chi vuole può indirizzare lettere a persone con cui è in conflitto, anche se non più in vita, riversando sul foglio la propria rabbia e usando, se è il caso, anche male parole. L’importante è che al termine del processo il foglio venga buttato via. Non è utile conservarlo nemmeno per sé, poiché rileggersi potrebbe confondere invece che aiutare: ogni sentimento espresso appartiene al momento in cui viene scritto e già nel giro di poche ore potrebbe essere del tutto cambiato.
Secondo lo psicologo texano, il processo può essere difficile, e a volte subito dopo si sta anche peggio, ma nelle settimane successive subentra un senso di sollievo: l’umore migliora, così come la salute e l’atteggiamento verso la vita.
Secondo molti esperti il valore terapeutico della scrittura espressiva è quello dell’abreazione, cioè di una scarica emozionale catartica, concetto introdotto per la prima volta da Sigmund Freud e da Josef Breuer nei loro Studi sull’isteria.
Un modo di iniziare scrivere è quello proprio degli scrittori: curato, meditato, attento ai contenuti e alla struttura del discorso. Secondo il filosofo Duccio Demetrio, fondatore e direttore della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, mettere per iscritto il proprio mondo interno e la propria vicenda umana, con impegno e metodo, aiuta a sbloccarsi e porta nuova linfa al proprio cammino. Costruire una narrazione coerente, infatti, facendo attenzione alla linearità dei pensieri e ai nessi logici tra un’affermazione e l’altra, spinge ad applicare la stessa chiarezza di metodo e di obiettivi anche alla propria vita.
La scrittura autobiografica può quindi essere un valido antidoto a un momento di crisi, quando ci si sente soli, fragili e non riconosciuti.
Non è necessario saper scrivere, basta aver qualcosa da raccontare. E qualsiasi storia, anche quella apparentemente più ordinaria o monotona, ha sempre qualcosa di unico.
In Italia, e forse nel mondo, il numero degli scrittori ha superato il numero dei lettori. Non era mai successo nella storia dell’umanità.
È una rivoluzione copernicana senza precedenti. Ma è un progresso, un regresso, o che? È positivo che la gente prenda dimestichezza con la scrittura, è negativo però che la lettura cali, che si scriva più che si legga, che si presuma di metter becco su tutto e tutti prima di conoscere, paragonare, farsi una cultura, informarsi; scrivere anziché leggere segna il trionfo dell’egocentrismo narcisista.
Diventare scrittori però è un altro paio di maniche.
Non si può essere scrittori senza aver prima studiato, corretto, e acquisito una tecnica di scrittura. Ma non vale l’inverso, che con la tecnica e lo studio si diventa scrittori. Sono basi necessarie ma non sufficienti perché poi a quella base occorre dare un’altezza che deriva dall’ingegno, dall’immaginazione, dall’ispirazione, dall’intuizione creativa, dallo stile.
In ogni caso, prima di scrivere si dovrebbe leggere, leggere, leggere. E studiare, educare alla lettura, accettare le correzioni, presuppone una virtù necessaria, almeno quanto l’ambizione di grandezza: l’umiltà.
Personalmente scrivo le mie emozioni, i pensieri e i sentimenti più profondi perché mi fa stare bene. Per poter scrivere in modo interessante ho capito, fin da ragazzino, che era importante leggere e farlo con testi classici.
Leggere può portare a conoscere, stando fermi in un luogo, nuovi luoghi e orizzonti, non solo immaginari. I libri offrono quindi un’alternativa per conoscere nuovi paesi e culture, sia attraverso i romanzi ambientati in luoghi ed epoche lontane, sia attraverso i saggi e i racconti documentaristici che li descrivono con dovizia di particolari.
Diceva Umberto Eco: “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita. Chi legge, avrà vissuto 5000 anni.”
Per quel che mi riguarda scrivo le storie che mi piacerebbe leggere. Quando scrivo vivo due vite, la mia quotidiana e l’altra, quella che mi sto inventando e che cerco di raccontare.
In ultima analisi con la lettura e con la scrittura mi sento ricco e realizzato pur essendo dignitosamente povero.
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